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Smart working: siamo davvero pronti?

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In questo articolo

Abbiamo voluto chiederne di più ad alcuni protagonisti dell’impresa e dell’innovazione del Salento.

Nell’ultimo mese, con uno scenario inedito per chiunque abbia memoria, l’emergenza causata dal Coronavirus ha determinato, oltre a una serie di riscritture del nostro modo di vivere, anche un’importante corsa all’adeguamento massivo per “lo svolgimento dell’attività lavorativa subordinata fuori dai locali aziendali”.
In altre parole, in Italia – che fossimo pronti o no – abbiamo dovuto finalmente scoperchiare il vaso chiamato ‘smart working’ e adottarlo senza mezze misure, in barba alle reticenze cui abbiamo assistito fino ad oggi.

L’indagine Confindustria sul lavoro 2019, ci raccontava che solo l’8,9% delle aziende associate aveva introdotto forme di lavoro agile e che il 10% considerava quella modalità operativa una buona opportunità da sperimentare.
Tralasciando tutte le implicazioni legali e normative riguardanti privacy, sicurezza aziendale e ‘diritto alla disconnessione’, lo smart working si è dimostrato fonte certa di attrazione di talenti, riduzione dei costi fissi, riduzione di traffico (e quindi ottimizzazione di tempi e processi) e riduzione dell’inquinamento.
Eppure?
Eppure in Italia siamo riusciti a farci trovare impreparati, con lo smart working relegato ad un’adozione strutturata solo in grandi compagnie private, e certamente mai sperimentato dalla stragrande maggioranza delle imprese. Il rischio, oggi, già abbastanza reale, è che lo smart working diventi un sinonimo di ‘ ritrovarsi a lavorare da casa’ per necessità, tra l’altro, e non certo per una visione illuminata della dirigenza. Generare un pastrocchio in termini di organizzazione e strumenti con un completo bypass di tutto ciò che lo smart working sottintende, a partire dall’aumento della responsabilità del singolo lavoratore.
Tutto questo porterebbe non soltanto a un gigantesco ‘misunderstanding’, ma anche e soprattutto alla possibilità che – a emergenza finita – si ritorni al punto di partenza, senza poter fare tesoro di questo incredibile stress test, visto più come una brutta parentesi che come un’esperienza da cui migliorarsi. Per capire lo stato dell’arte nel nostro territorio, anche in un momento dalle infinite implicazioni come questo, abbiamo voluto chiedere di più ad alcuni protagonisti dell’impresa dell’innovazione del nostro territorio.

L'opinione dei nostri ospiti

gabriele de giorgi

Gabriele de Giorgi

Giornalista, Lecceprima.it

Quest’emergenza ci sta insegnando che lo smart working oggi è una necessità e non un vezzo grosso modo da futuristi un po’ radical chic. Però, per prima cosa, bisogna subito evitare un equivoco. Il lavoro da remoto non è lo smart working. Il primo è una eccezione al lavoro di ufficio: io, per esempio, spesso mi porto dietro il notebook e lo utilizzo in qualunque luogo mi serva scrivere subito e, se non c’è una connessione wi-fi, poco male perché utilizzo il pacchetto dati dello smartphone. Nel mio mestiere è importante pubblicare o inviare tempestivamente un articolo: non sempre puoi permetterti di avere il tempo di rientrare in redazione e di metterti a sedere bello comodo. Lo smart working invece, credo sia un modello più complesso, che informa tutta una organizzazione articolata. Senza efficienza, concetto noto in economia, non penso abbia senso parlare di smart. Faccio ancora un esempio che viene dalla mia esperienza: strumenti di comunicazione e condivisione come le chat possono semplificarti la vita in alcuni casi, in altri possono complicartela, rendendo farraginosi alcuni processi come l’adozione di una decisione quando si gioca sul tempo: il rischio, insomma, è sprecare più tempo del necessario. Per questo motivo è importante – se vogliano dare concretezza e diffusione al concetto di smart working che vengano codificate delle best practice, che vengano stilati dei protocolli specifici ma anche flessibili, cioè adattabili a seconda delle esigenze di un determinato settore produttivo o di una specifica professione. Altrimenti, un’adozione solo nominale dello smart working potrebbe determinare dei passi falsi: è importante, dunque, adottarlo in maniera consapevole, coinvolgendo figure che hanno capacità comprovate ed esperienza.
Giancarlo Negro

Giancarlo Negro

CEO, Links MT s.p.a. | Presidente Confindustria Lecce

Lo smart working in Italia ci è stato imposto in larga parte dall’emergenza Coronavirus, molte aziende non erano preparate anche perché mettere in pratica questa metodologia non è semplice come può sembrare, più in generale può essere adottato ove sussistono dei pre-requisti. E’ senz’altro un processo graduale che non deve essere imposto da un giorno all’altro anche perché è necessario un ulteriore sforzo di coordinamento tra i project manager e gli altri collaboratori. Le aziende potrebbero porsi l’obiettivo di introdurre gradualmente questa modalità magari solo per un paio di giorni a settimana così che in parallelo si possano ripensare e rivedere alcuni processi. Non basta infatti un pc ed una connessione, oltre agli strumenti è necessaria una metodologia ed un certo grado di maturità organizzativa. Tra i vantaggi del “lavoro agile” riconosco maggiore flessibilità ed un accrescimento della qualità della vita, ma è necessario e fondamentale anche il lavoro in presenza perché credo tantissimo nel concetto di “squadra” e nella forza del contatto umano, elementi essenziali nelle dinamiche di gruppo. Links MT è un’azienda dell’Information Technology dove in passato lo smart working non è stato adattato in maniera organica e strutturale, questi giorni ci hanno offerto maggiori spunti di riflessione per renderlo una misura permanente e non occasionale.
adalberto perrone

Adalberto Perrone

CEO, Icsone s.r.l. | Presidente sindacato IT Confcommercio Lecce

Icsone è nata come azienda totalmente virtualizzata e tutti hanno sempre avuto la possibilità di lavorare da casa. Riconosco allo smart working il vantaggio di risparmiare tempo non dovendo spostarsi da casa per raggiungere il posto di lavoro. Entro certi limiti si può adattare alle esigenze personali con conseguenti risparmi economici ed ulteriore beneficio per l’ambiente. Tra gli svantaggi le ridotte opportunità di socializzazione, minore efficacia del lavoro in squadra, costi infrastrutturali maggiori per l’azienda, soprattutto se deve provvedere a sostenere i costi della connettività remota e della sicurezza del collaboratore. Lo smart working può essere utile a tante aziende, ma un pre-requisito è non utilizzare la carta. Sembra una banalità, ma non lo è affatto e prova ne sia che la pubblica amministrazione è il settore che più difficilmente opera in smart working. E’ necessario un ripensamento ed un adattamento dei processi perché alcune persone potrebbero avere difficoltà ad acquisire nuovi processi o strumenti, per questo motivo non tutti possono adottare questa modalità di lavoro. Molto dipende anche dal carattere delle persone e dall’ambiente familiare. Pensiamo ai casi di famiglie con conflitti interni o che non dispongono di spazi opportuni per allestire una postazione di lavoro idonea. Da non trascurare l’aspetto caratteriale di chi sente il bisogno di uscire da casa a prescindere. Per concludere, lo smart working può essere adottata come politica di welfare aziendale a condizione che non venga imposta, ma proposta.
Salvatore Modeo

Salvatore Modeo

CEO, Mrs s.r.l | Co-founder The Qube e Molo12

In azienda promuoviamo lo smart working da diverso tempo anche perché abbiamo soci e collaboratori in diverse parti del mondo. Il vantaggio è che per un freelance può bastare un computer ed una connessione internet, però lavorare solo da casa è limitante. In ufficio ci si distrae, ma anche in casa ci sono fonti di distrazione, talvolta può essere frustrante e procurare più stress, pensiamo ad esempio alle continue interruzioni dei figli piccoli. Ci sono poi dei lavori basati sull’interazione con le persone e spesso la distanza si avverte pur utilizzando strumenti di videoconferenza. Soprattutto qui al sud dove ci piace essere vicini ai nostri interlocutori. Ecco, devo dire che questi possono essere alcuni dei motivi per cui molti freelance scelgono di lavorare da noi nel coworking di Molo12 proprio per non isolarsi troppo e restare in contatto con altre persone. Lo smart working può essere una modalità adatta a diversi tipi di realtà non solo digitali, ma è importante utilizzare strumenti ed avere processi chiari. In alcuni casi processi e procedure vanno rivisti, l’importante è digitalizzare il cartaceo, evitando ad esempio infinite, stampe, firme, scansioni e ri-scansioni. Infine questa modalità ti insegna e ti educa a valutare i collaboratori in base ai risultati ed alla qualità del lavoro svolto e non alle ore impiegate.
alessandro martines

Alessandro Martines

External affairs specialist, British American Tobacco Italia

Occorre fare una precisazione: se si fa solo smart working senza ripensare l’organizzazione aziendale, si sta facendo semplicemente telelavoro, non c’è nessun risultato sul processo. Se invece lo smart working viene inteso come abbinato a un sistema di valutazione basato sulla performance, più che sulle ore spese al computer, allora probabilmente ne gioverà il business e la produttività, oltre che la gratificazione del lavoratore. Tuttavia terrei comunque distinta la potenzialità di usare questo rapporto di lavoro come modalità di welfare aziendale, che è benefit da riconoscere al lavoratore a prescindere. La filosofia alla base dello smart working. Escluso il manifatturiero, si tratta di una modalità che può aver senso per tutti i servizi del terziario, non solo per le attività che operano nel digitale. I datori di lavoro stessi, poi, si abituano con lo smart working a valutare i collaboratori sulla base della qualità del lavoro svolto, più che della quantità di lavoro svolto. In generale, penso che debba comunque essere una pratica circoscritta perché inficia sulla parte empatica del lavoro. Oggi è importante questa modalità soprattutto per i benefici legati alla sostenibilità ambientale, che aumentano all’aumentare delle dimensioni dell’azienda, come nel mio caso dove appunto, siamo migliaia di dipendenti. Per non parlare della qualità della vita, specialmente nelle grandi città in cui ci si sposta con i mezzi pubblici e dove anche il tragitto casa-lavoro è una routine impegnativa. Anche la pausa pranzo diventa un momento che è possibile finalmente condividere con la famiglia, in maniera inedita rispetto alla normale situazione lavorativa. Un altro vantaggio è la possibilità per i lavoratori fuori sede come me, di tornare a casa più spesso magari allungando i week-end. Sulla base della mia esperienza posso dire che sì, la mia azienda prevedeva il “lavoro agile” per un giorno a settimana e per tutti i dipendenti. E’ stato un bene perché British American Tobacco è una multinazionale in cui lavorano migliaia di persone, ed è riuscita a farsi trovare preparata in queste emergenza scatenata dal Coronavirus.
alberto de ronzi

Alberto de Ronzi

Solution Engineer, Klarna AB

La mia azienda è sempre stata molto flessibile sullo smart working, ed in caso di necessità ci hanno sempre permesso di lavorare da remoto. Per Klarna AB, le uniche condizioni sono: avere accesso ad Internet ed un posto tranquillo per fare videochiamate. I vantaggi includono meno tempo speso a far il pendolare con conseguenti meno costi e orari più’ ottimizzati. C’è chi preferisce svegliarsi un’ora dopo e chi invece preferisce iniziare a lavorare un’ora prima per poi staccare anticipatamente.Ci son vantaggi anche per l’azienda che può affittare un ufficio più piccolo risparmiando sui costi. Negli svantaggi c’è il pericolo di non riuscire a delimitare bene gli orari, gli spazi di lavoro e la vita privata. Inoltre in ufficio è più facile parlare con i colleghi per risolvere i problemi scambiando due chiacchiere. Per adottare lo smart working non è richiesto un altissimo livello di informatizzazione, ma sicuramente è più facile per le aziende che operano nel digitale e per i dipendenti che non hanno la necessità di accedere ad hardware specializzato. In molti casi un laptop ed una connessione sono tutto ciò che serve! Un secondo step è attivare una V.P.N. per accedere a dati sensibili e software aziendali. Se l’azienda é ben organizzata l’impatto sui processi è minimo, in particolare se tutti i compiti che si fanno in ufficio sono riproducibili da remoto. L’impatto più grande credo si abbia nell’organizzazione e nella collaborazione tra più persone. Ci sono diversi strumenti digitali che facilitano la collaborazione a distanza però a volte l’efficienza di un meeting face-to-face è ineguagliabile. Detto questo credo che porti benefici a tutte le aziende, se fatto con criterio. Ho tanti colleghi che in questo periodo di smart working “forzato” sono contenti e lavorano meglio di prima, mentre altri, non essendo abituati, si sentono meno motivati ed efficienti. Credo che come in tutte le cose sia fondamentale l’equilibrio e la flessibilità. E’ fondamentale, avere la possibilità di fare smart working al bisogno o quando è necessario, anche per un solo giorno al mese perché capitano a tutti dei giorni in cui c’è bisogno di stare da soli ed isolati per essere più concentrati. Credo che lo smart working possa essere un elemento di welfare aziendale se ad esempio l’alternativa è spendere tanti soldi per mandare i figli ad un asilo e quindi passare poco tempo con loro. Avere la possibilità di lavorare da casa diminuisce i costi per la famiglia e aumenta il legame figli-genitori. Anche qui non esistono regole generali valide per tutti. Il concetto chiave, per me, è flessibilità! Dare la possibilità ai genitori di lavorare da casa quando serve, alternare giorni in ufficio con giorni a casa può rappresentare la salvezza mentale (ed economica) di una famiglia.